Giovanni Brusca, efferato capo mafia legato al clan dei Corleonesi, dal 5 giugno 2025 è libero per fine pena.
«Ho ucciso Giovanni Falcone. Ma non era la prima volta: avevo già adoperato l’autobomba per uccidere il giudice Rocco Chinnici e gli uomini della sua scorta. Sono responsabile del sequestro e della morte del piccolo Giuseppe Di Matteo, che aveva tredici anni quando fu rapito e quindici quando fu ammazzato. Ho commesso e ordinato personalmente oltre centocinquanta delitti. Ancora oggi non riesco a ricordare tutti, uno per uno, i nomi di quelli che ho ucciso. Molti più di cento, di sicuro meno di duecento.»
La dichiarazione, tratta dal libro di Saverio Lodato “Ho ucciso Giovanni Falcone”, è dell’ex boss di San Giuseppe Jato.
Arrestato nel 1996, dal 2000 è collaboratore di giustizia. Adesso, dopo 25 anni di carcere e 4 di libertà vigilata, è definitivamente scarcerato e sarà trasferito lontano dalla Sicilia sotto falsa identità, entrando nel programma di protezione.
Soprannominato Verru (il maiale, in siciliano) o Scannacristiani a causa dell’atroce ferocia assassina, si è macchiato di centinaia di omicidi, o ne è stato il mandante.
Tra i più eclatanti l’uccisione del piccolo Giuseppe Di Matteo, rapito e tenuto in ostaggio per 779 giorni, poi strangolato e sciolto nell’acido come ritorsione verso il padre, il boss Santino Di Matteo, divenuto collaboratore di giustizia.
Fu l’uomo che azionò il telecomando che attivò il tritolo nell’esplosione della Strage di Capaci, in cui persero la vita i magistrati Giovanni Falcone e Francesca Morvillo e gli uomini della scorta Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonio Montinari.
“Dolore e amarezza” afferma Maria Falcone, sorella di Giovanni. Brusca oggi è tornato in libertà grazie anche ad una legge fortemente voluta dal fratello e proprio per questo ne sottolinea l’importanza, definendola indispensabile per poter scardinare le organizzazioni criminali dall’interno, colpendole soprattutto nei loro punti deboli: potere e denaro. Sono molteplici infatti gli arresti e i sequestri di beni adducibili a Cosa Nostra confiscati negli anni, un duro colpo all’organigramma finanziario mafioso.
Prova a distinguere i ruoli, tra lo sgomento provato da sorella e cittadina, e l’utilità della legge sui collaboratori di giustizia che il ruolo istituzionale ricoperto deve considerare.
Della stessa opinione Pietro Grasso, già procuratore nazionale antimafia, che nonostante la stessa rabbia e indignazione rimarca l’importanza dei pentiti e le conseguenti stragi evitate, contornate da pene durissime inflitte ai componenti delle cosche e i relativi ergastoli assegnati. “Con Brusca lo Stato ha vinto tre volte: quando lo ha catturato, quando lo ha convinto a collaborare e ora che è un esempio per tutti gli altri mafiosi. L’unica strada per non morire in carcere come Riina, Provenzano e Messina Denaro, è collaborare con la giustizia”.
Tra gli indignati eccellenti anche la vedova Montinaro, Alfredo Morvillo e Giuseppe Costanza, autista personale di Giovanni Falcone, miracolosamente sopravvissuto alla strage del 23 maggio 1992. Il loro pensiero, unanime, rimarca un’oggettività per loro difficile da superare: seppur la legge abbia fatto il proprio corso e oggi Brusca sia libero, rimane pur sempre il criminale che ha strappato le vite dei loro cari.