CATANIA. Con la notizia ufficiale della proroga fino al 5 ottobre della mostra “Dai monasteri e dai conventi”, allestita al Museo Diocesano di Catania, la Soprintendenza dei Beni Culturali e Ambientali di Catania, guidata dall’architetto Irene Donatella Aprile, annuncia anche le due aperture straordinarie serali concordate con l’Arcidiocesi di Catania. Sono in programma venerdì 9 e sabato 10 agosto e prevedono visite dalle ore 18 e fino alle 23. Ingresso gratuito (visite guidate e fuori orario sono a pagamento e vanno concordate con la direzione del Museo Diocesano). Gli orari di visita settimanali sono: dal lunedì al sabato dalle 9 alle 13, martedì e giovedì anche di pomeriggio dalle 15 alle 18. In mostra al Museo Diocesano è una selezione del patrimonio artistico proveniente da chiese, monasteri e conventi confluito fra i beni dello Stato all’indomani dell’Unità d’Italia. Tesori di proprietà del Fondo Edifici di Culto – istituito presso il Ministero dell’Interno, che ha autorizzato la mostra – provenienti da siti F.E.C. siti della provincia di Catania. Un progetto della Soprintendenza dei Beni Culturali e Ambientali di Catania e della Prefettura di Catania realizzato in collaborazione con l’Arcidiocesi di Catania, il Museo Diocesano e il FEC, il Fondo Edifici di Culto dove confluirono tutti i beni già appartenuti ai religiosi. La mostra è finanziata dall’Assessorato regionale dei Beni Culturali e dell’Identità Siciliana – Dipartimento BBCC della Regione Siciliana.
LA MOSTRA
Concepita con un doppio registro narrativo – quello artistico per fare luce sul patrimonio religioso traghettato fra i beni di Stato con la nascita del Regno d’Italia e quello storico che inquadra il contesto del tempo, la nascita del pensiero liberale e il dibattito politico sulla separazione tra Stato e Chiesa – la mostra “Dai Monasteri e dai Conventi” [Catania, Museo Diocesano 20 aprile – 28 luglio 2024] è fondamentalmente uno straordinario momento di riflessione su una fase complessa e controversa della storia del nostro Paese. Un provvedimento, quello delle Leggi Siccardi (1866) e il conseguente trasferimento di tutto il patrimonio religioso allo Stato, che impose a quest’ultimo la questione tutt’altro che secondaria della tutela dei beni culturali, autentico “giacimento d’arte” che, ieri come oggi, tràina e sostiene l’economia italiana. Un centinaio le opere in mostra nei due piani del Museo Diocesano di Catania divise in tre macrosezioni – artistica, archeologica e bibliografica – e scandite secondo l’ordine religioso di provenienza. Un racconto che, sia pure circoscritto all’area di Catania – dai comuni dell’Etna fino a quelli dell’entroterra del calatino, come Caltagirone, Militello e Mineo – indaga e mette in mostra, secondo un criterio storico e scientifico, beni e opere d’arte riconducibili ai principali ordini monastici diffusi in Sicilia: Basiliani, Benedettini, Carmelitani, Domenicani, Francescani, Agostiniani, Mercedari, Paolotti e Camilliani documentando il ricco patrimonio artistico, la devozione e il senso per l’arte di monaci e frati. Le opere sono in prestito da enti pubblici e religiosi e arrivano da Acireale, Aci Sant’Antonio, Adrano, Avellino, Bronte, Caltagirone, Catania, Giarre, Linguaglossa, Messina, Mineo, Paternò, Piedimonte Etneo, Randazzo, Roma, Santa Maria di Licodia, Trapani. Ecco dunque immense pale d’altare, dipinti su tavola di scuola antonelliana raramente esposti al pubblico, codici miniati, volumi antichi, epigrafi romane e reperti archeologici – statuette, vasi, fibbie, bracciali – provenienti dalla collezione dei Benedettini e sinora custoditi nei magazzini del Castello Ursino. In mostra sono anche uniformi storiche, busti commemorativi e reliquiari, preziosi arredi in argento, paramenti sacri e manoscritti delle secolari biblioteche conventuali il cui valore fu sottolineato anche dallo scrittore Federico De Roberto, autore del celebre romanzo storico “I Vicerè”, che a proposito del fondo librario dei benedettini parla di “molte migliaia di volumi e parecchi codici (…) e l’archivio ricco di diplomi bizantini, normanni, aragonesi e di bolle papali”. In parallelo il percorso espositivo affronta la delicatissima questione della soppressione degli ordini religiosi avvenuta con le cosiddette Leggi Eversive del 1866. Conventi e monasteri divennero caserme, scuole e ospedali destinati alle funzioni sociali del nuovo Stato, mentre il patrimonio artistico dei religiosi – quando non disperso, trafugato, venduto clandestinamente o messo in salvo da oculati priori – divenne proprietà dello Stato e solo più tardi rientrò parzialmente in possesso della Chiesa. Una narrazione quella di “Dai Monasteri e dai Conventi” che inevitabilmente polarizza la dialettica fra la “ragion di Stato” – quella del re Vittorio Emanuele II e la visione di Cavour deciso a uniformare la legislazione italiana a quella degli altri Paesi cattolici europei – e quella della Chiesa – Papa Pio IX e cordate di intransigenti, ovvero alti esponenti del Clero che sino a quel momento avevano goduto di privilegi civili, giuridici ed economici. Una narrazione a due voci che affronta e articola le ragioni dell’uno senza trascurare i sentimenti dell’altro. In questo caso “degli altri”: le piccole e grandi comunità di monaci e frati investiti dalla notifica di sfratto firmata dal Re d’Italia e dunque in preda al comprensibile sgomento e allo smarrimento di chi, nel volgere di pochi giorni, perde il suo piccolo mondo: la casa, le povere cose, i mezzi di sostentamento (dagli orti dei conventi fino ai grandi feudi concessi ai monasteri dalle famiglie aristocratiche quando il figlio cadetto o la secondogenita prendeva i voti).
LE OPERE
Fra le grandi opere in mostra, di proprietà del FEC, figurano diversi capolavori del Cinquecento. Come la “Salita al Calvario” di Jacopo Vignerio, pittore messinese del XVI secolo, allievo di Polidoro da Caravaggio che a sua volta frequentò la bottega di Raffaello. La tavola, firmata e datata 1541, proviene dalla Chiesa di San Francesco all’Immacolata di Catania (attualmente chiusa per manutenzione straordinaria con i fondi PNRR) e riprende in copia simmetrica l’opera di Raffaello nota come “Spasimo di Sicilia” realizzata per la chiesa dello Spasimo di Palermo ed oggi esposta a Madrid (fu donata nel 1661 al re Filippo IV di spagna dall’abate Staropoli). Questa di Vignerio viene considerata dagli studiosi come un notevole esempio della pittura siciliana di primo Cinquecento. Dalla Chiesa di San Nicolò a Randazzo proviene poi una raffinatissima tavola dipinta di scuola antonelliana. È la “Madonna con Bambino fra le sante Agata e Lucia” che, in occasione della storica mostra del 1953 a Messina su Antonello, fu attribuita a un seguace di Jacobello, figlio del grande maestro. Dalla Chiesa di San Nicolò a Militello in Val di Catania arriva una “Annunciazione”, olio su tavola del 1551 attribuita a Francesco Frazzetto, pittore originario di Mineo. Per la sezione bibliografica, fra i capolavori librari esposti al Diocesano figurano un prezioso codice basiliano in greco (XI o XII sec.) su pergamena proveniente dal monastero del SS. Salvatore (a Messina) fondato da Ruggero il Normanno nel 1130. E ancora una delle prime mappe del mondo moderno realizzata nel 1511 dal geografo e umanista Bernardo Silvano con una nuova versione della geografia di Tolomeo dove, a meno di vent’anni dal viaggio di Colombo, figurano anche le due Americhe. E poi, meraviglia per tutti gli appassionati di giardini e botanica, “Hortus romanus”, il catalogo illustrato dell’Orto Botanico di Roma edito nel 1770 dai francesi Bouchard e Gravier: un favoloso erbario dipinto e suddiviso in otto volumi con 800 acqueforti acquerellate che documentano gli studi nella materia del XVII secolo. Le incisioni sono di Magdalena Bouchard – figlia di Jean – su disegni di Cesare Ubertini. Sul fronte archeologico fra i vari reperti in mostra figurano una selezione di bronzi protostorici, un rilievo in marmo con scena orgiastica con Dioniso e due satiri (I sec. d.C.) e un bicchiere a figure rosse con guerrieri inginocchiati, tutti pezzi provenienti dalla collezione dei Benedettini. Completa l’esposizione la Wunderkammer, la sezione con curiosità e mirabilia provenienti dalle collezioni dei religiosi fra cui un rompicapo in avorio di origine cinese, anelli episcopali del 1400, un astrolabio, una meridiana portatile (XVIII sec,) e una “sirenetta”, curioso strumento musicale realizzato da Donato del Piano – autore, fra l’altro, del monumentale organo di San Nicolò La Rena – e che riproduce il canto degli uccelli. Coordinata dalla Soprintendente ai Beni Culturali e Ambientali di Catania, architetto Irene Donatella Aprile, la mostra vede la curatela di Roberta Carchiolo, storica dell’arte della Soprintendenza di Catania che, per la parte scientifica e organizzativa, ha guidato un team di studiosi dello stesso ente: Carmela Cappa, Franco La Fico Guzzo e Mariagrazia Patti (sezione storico-artistica); Ida Buttitta e Maria Lucia Giangrande (sezione bibliografica); Maria Turco e Michela Ursino (sezione archeologica); Carmela Di Blasi (registrar); mentre il progetto di allestimento e la direzione tecnica sono stati affidati rispettivamente ad Albarosa D’Arrigo e Salvatore Girianni. Alla mostra è dedicato un catalogo, a cura della Soprintendenza di Catania, che includerà i contributi di un team di storici dell’arte e di storici con schede delle opere esposte.
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