MESSINA – Alcuni silenzi fanno un rumore così assordante che è impossibile non udirlo. Sono le sofferenze delle donne che subiscono quotidianamente una delle violazioni dei diritti umani più subdole: abusi, vessazioni, umiliazioni da parte di chi aveva detto, promesso e giurato di amare. Ma è un dramma che non si annida soltanto tra le mura domestiche; può consumarsi nei luoghi di lavoro, nelle strade, nei pregiudizi, ovunque, alimentato dal radicamento di un retaggio patriarcale e di stereotipi di genere. Eppure lei, la donna, sempre la donna, anche quando è paralizzata dalla paura, grida dentro di sé il proprio dolore, con dignità. Finché può, finché non sopraggiunge quel gesto che le porta via tutto: la fiducia, la speranza, la vita.
I numeri di un dramma impossibile da ignorare
Ogni tre giorni, una donna viene uccisa in Italia, per mano di chi sosteneva di volerla proteggere. Secondo i dati comunicati dal Dipartimento della Pubblica Sicurezza del Ministero dell’Interno, sono 98 i femminicidi registrati nel nostro Paese dall’inizio del 2024 sino al 17 novembre. Di questi, 84 sono avvenuti nel contesto familiare o affettivo, e 51 sono attribuibili al partner o all’ex partner. Nonostante siano in calo del 9% rispetto allo stesso periodo del 2023, sono numeri impressionanti che continuano a tracciare i contorni di una piaga sociale, dietro cui si celano volti, storie e sogni infranti, e di fronte ai quali non è giustifcabile rimanere indifferenti.
Ma come intervenire concretamente per arginare un fenomeno che pare inarrestabile? Per rispondere a una domanda piuttosto urgente, ogni anno, da venticinque anni, il 25 novembre si rinnovano le campagne di sensibilizzazione legate alla Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne.
La voce di chi è riuscita a uscire da una relazione tossica
Uscire dalla spirale della violenza è possibile. Anche se fare quel passo richiede grande coraggio e determinazione, soprattutto quando si è sole. Tra le donne che ci sono riuscite, ce n’è una, una giovane messinese, che ha voluto condividere la propria esperienza di rinascita. Una testimonianza che diventa un invito a non arrendersi mai, cercando e sollecitando il sostegno necessario per ricominciare.
Dall’entusiasmo degli inizi ai primi segnali di pericolo
Puoi raccontare come è nata la relazione che si è poi rivelata tossica? “Tutto è iniziato nell’autunno del 2008, a cavallo tra ottobre e novembre, durante una festa di compleanno di un’amica in comune. Eravamo in un locale, e lui si era avvicinato con l’intenzione di conoscermi. Quella sera ci scambiammo solamente qualche parola, ma l’interesse reciproco ci indusse a frequentarci sempre più spesso. Dopo un paio di mesi ci fidanzammo.”
Ci sono stati degli indizi che ti hanno fatto sospettare che qualcosa non andasse? “Terminata la fase caratterizzata dall’entusiasmo e romanticismo, lui cominciò a manifestare forti segnali di gelosia. Voleva controllarmi il telefono, pretendeva di sapere ogni mio spostamento e con chi uscissi. Sembrerà assurdo, ma era arrivato a calcolare quanto tempo sarebbe dovuto servire per raggiungere il posto di lavoro da casa. Capitò persino che chiamasse i miei genitori per verificare se fossi a casa o se fossi uscita senza avvisarlo. Alla fine lo lasciai: ero esasperata da quella situazione.”
Quando la fine di una relazione diventa inaccettabile
Qual è stata la sua reazione davanti a questa decisione? “L’ha presa molto male, non accettando affatto la mia scelta. Era insistente, mi pressava con messaggi a raffica in cui affermava di essersi reso conto dei suoi errori, di essere pentito e di essere disposto a cambiare per amore. Io gli credetti e, ingenuamente, gli diedi una seconda opportunità. Tornammo insieme a settembre 2013, ma a luglio 2015 chiusi una volta per tutte.”
Quando hai capito che era il momento di chiudere definitivamente? “I primi tempi si dimostrava affettuoso, mi trattava con premura. Pensavo fosse cambiato davvero, ma mi ero illusa. A distanza di pochi mesi, infatti, si rivelò di nuovo il solito uomo possessivo. Ricominciò a controllarmi e a denigrarmi, sia in privato che in presenza di altre persone. Mi sentivo come in una gabbia, privata della cosa più preziosa: la libertà. Ero isolata dalle mie amicizie e aveva addirittura tentato di allontanarmi dalla mia famiglia.”
Il valore del sostegno nei momenti più difficili
Hai avuto l’appoggio di qualcuno tra parenti, amici o associazioni? “Ero innamorata, ma al contempo spaventata e fragile. Mi aveva spenta completamente. Non avevo idea di quali potessero essere le conseguenze, ma una collega mi aiutò. Grazie a lei mi resi conto di quanto fosse malsano quel rapporto. Tenni la mia famiglia all’oscuro, avevo il terrore che potesse compiere follie. Mi ricattava e giunse persino a farmi pedinare. Il mio titolare mi accompagnava alla macchina al termine del turno per evitare che restassi sola. Non mi rivolsi mai ad associazioni specifiche, principalmente perché non ne ero a conoscenza, ma non so se avrei comunque avuto la forza di farlo. Immagino che sarei stata frenata dal timore di essere giudicata.”
Cosa provi oggi e che consiglio daresti a una donna che sta vivendo ciò che hai passato tu? “Con il senno di poi, nonostante l’incubo che ho vissuto e che mi capita ancora di sognare, mi ritengo fortunata. Non per tutte è così, purtroppo. Il mio consiglio è di troncare già dalle prime avvisaglie. Non serve ostinarsi, perché alla lunga uomini come questi svelano quello che realmente sono: gelosi, manipolatori e bugiardi. Non è vita.”
Da Piazza Cairoli in marcia per fermare la violenza di genere
Vicende simili richiamano all’attenzione le istituzioni e l’intera comunità su una problematica ormai strutturale. In tal senso, la Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, istituita dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite il 17 dicembre 1999 – in memoria delle tre sorelle Mirabal, deportate, violentate e assassinate il 25 novembre 1960 nella Repubblica Dominicana per ordine del dittatore Trujillo – ha nuovamente mobilitato Messina con una marcia simbolica che si è svolta lungo alcune vie cittadine. Partito da Piazza Cairoli, il corteo ha attraversato il percorso pedonale di viale San Martino fino a raggiungere via Santa Cecilia.
Come accaduto nel 2023, l’appuntamento è stato promosso dalla Prefettura, dal Comune di Messina, dall’Università degli Studi e da altri enti e organizzazioni locali. Alla manifestazione, che rientra nel quadro delle iniziative previste dal Protocollo Interistituzionale per la prevenzione e il contrasto della violenza di genere nella provincia di Messina, sottoscritto in Prefettura il 25 novembre 2018, hanno partecipato numerose associazioni, istituti scolastici e cittadini, uniti per dire basta a questa strage. Un monito inequivocabile di quanto i fatti di cronaca che periodicamente emergono destino preoccupazione nella collettività.
Quattro panchine rosse nelle scuole di Messina
Uno dei simboli che esorta alla riflessione sul tema della violenza di genere e del femminicidio è rappresentato dalle panchine rosse. Diffusesi in Italia dal 2014, con la prima apparsa a Torino, evocano il posto lasciato vuoto e il sangue versato da una donna vittima di omicidio. Nell’ambito delle attività intraprese dalle realtà scolastiche messinesi per la Giornata internazionale contro la violenza sulle donne, presso le scuole primarie Nino Ferraù (ex CSA), Don Orione e Giacomo Leopardi sono state collocate quattro di queste significative installazioni.
Le dichiarazioni delle istituzioni messinesi
Alle varie cerimonie d’inaugurazione ha preso parte l’assessora alla pubblica istruzione, nonché alle politiche giovanili e alle pari opportunità, Liana Cannata, mentre al plesso Nino Ferraù erano presenti il presidente della III Municipalità, Alessandro Cacciotto, e una delegazione di consiglieri circoscrizionali. Al taglio del nastro della panchina del plesso Giacomo Leopardi, invece, oltre alla dirigente Ersilia Caputo, hanno partecipato Antonella Scaramuzzino e Giovanni Danzì, consiglieri della II Municipalità.
Cannata: “Simboli e percorsi educativi per promuovere parità di genere”
“Sono lieta di contribuire alla diffusione di un monito che combatti qualsiasi forma di violenza, mediante questi importanti simboli ubicati nei quattro plessi scolastici dell’Istituto Leopardi. Le panchine rosse sono segni tangibili di una cultura del rispetto e strumenti fondamentali per trasmettere alle nuove generazioni un messaggio di non violenza e di pace. Tramite percorsi educativi mirati, l’obiettivo è realizzare un impegno civico indispensabile per salvaguardare i diritti delle donne e coltivare la parità di genere.”
Caputo: “Uno stimolo alla riflessione per coinvolgere la comunità messinese”
“Ogni panchina è un segno tangibile e silenzioso, destinato a ergersi come uno stimolo alla riflessione. Con questo gesto, vogliamo non solo sensibilizzare i nostri studenti, ma anche coinvolgere l’intera comunità messinese in un cammino di crescita e trasformazione culturale.”
Non smettere di dare voce ai silenzi delle vittime
Nella settimana in cui hanno suscitato scalpore le controverse dichiarazioni della ministra per le Pari Opportunità, Eugenia Roccella, e del ministro dell’Istruzione e del Merito, Giuseppe Valditara, durante la presentazione della Fondazione Giulia Cecchettin, la necessità di adottare soluzioni efficaci per fermare questo fenomeno dilagante ha assunto un significato ancora più profondo. Manifestazioni, associazioni ed eventi diventano il megafono attraverso cui i silenzi delle vittime possono trovare finalmente ascolto.
(fonte: comunicato stampa)