L’operazione Filo Conduttore, condotta questa mattina dalla Guardia di Finanza di Catania, ha visto l’arresto di 10 presunti esponenti del clan Pillera-Puntina, operante nel territorio etneo. Gli indagati devono rispondere dei reati di bancarotta fraudolenta, riciclaggio e autoriciclaggio. L’indagine è comunque partita dal fallimento di una società a responsabilità limitata di Pedara, esercente l’attività di installazione e manutenzione per impianti telefonici al termine del 2018. Le misure cautelari personali e reali sono state applicate a carico di 4 soggetti, tutti amministratori di fatto della stessa società.
Il comportamento per il quale essi sono indagati è quello di avere distratto il compendio aziendale della fallita a beneficio di un nuovo organismo societario, con sede legale a Trecastagni, riconducibile a loro stessi. Così era stato disposto il sequestro preventivo diretto dell’intero compendio aziendale dell’impresa neo costituita in quanto nata per sostituirsi alla società di Pedara, già gravata di suo da ben 8 milioni di debiti. Il fatturato della prima sarebbe stato quindi azzerato in favore della seconda, che avrebbe registrato una crescita esponenziale e proporzionale all’entità dei contratti ereditati dalla fallita.
Nel 2021 i militari hanno svolto ulteriori indagini al termine delle quali sarebbe stato accertato lo stesso schema di svuotamento dell’operatività aziendale. I servizi sono stati quindi dirottati in favore di due nuove società, una Srl a Mascalucia, socio unico un soggetto legato da stretti vincoli parentali con la famiglia Pillera (figlio della sorella del capo clan Turi Pillera, detto “Turi Cachiti”) e una ditta individuale con sede a Misterbianco (CT), costituita ad hoc e rappresentata solo formalmente da un soggetto estraneo alla famiglia.
Queste imprese, malgrado apparentemente di proprietà di terzi, di fatto sarebbero risultate riconducibili alla stessa compagine gestionale del gruppo riconducibile alla richiamata famiglia mafiosa, che era stata allontanata dalla società sotto il controllo giudiziario. Il progressivo calo di fatturato dell’impresa in amministrazione giudiziaria avrebbe determinato gravi problemi di solvibilità, al punto da condurre alla declaratoria di liquidazione giudiziale nell’ottobre 2023 a seguito di un’istanza di auto-fallimento promossa dallo stesso amministratore giudiziario su autorizzazione del locale GIP.
Le ulteriori investigazioni, svolte sotto la direzione dell’autorità giudiziaria, anche mediante attività tecniche nonché acquisizione e analisi di copiosa documentazione, avrebbero permesso di ricostruire la galassia di società operanti nel settore delle telecomunicazioni in sub-appalto, tra cui le 4 imprese, risultate riconducibili a persone legate da vincoli di sangue e di solidarietà criminale al clan mafioso “Pillera-Puntina”.
Le stesse aziende sarebbero state inoltre utilizzate alla stregua di strumenti di riciclaggio per immettervi i beni e i proventi oggetto di distrazione a danno delle società poi fallite. Sarebbero stati inoltre acquisiti puntuali elementi di riscontro alle dichiarazioni di un collaboratore di giustizia, già esponente di spicco della suddetta associazione criminale. Lo stesso avrebbero confermato la strettissima correlazione esistente tra le diverse compagini societarie susseguitesi negli affidamenti e il disegno criminoso volto al fraudolento svuotamento del pacchetto dei contratti e dei lavori dalle fallite alle altre imprese riconducibili al sodalizio.
Sarebbe infine emerso come gli affidamenti alla società di Trecastagni in amministrazione giudiziaria non si fossero del tutto azzerati, solo grazie alla volontà di alcuni soggetti ancora integrati nell’organico della stessa e di taluni dirigenti e lavoratori dell’operatore economico appaltante, di non dar luogo né rendere troppo “palese” all’esterno la totale estromissione dell’impresa in parola dalle relative commesse. Ciò al fine, da un lato, di evitare sospetti negli organi giudiziari e nelle forze di polizia e, dall’altro, di tentare di riacquisire il controllo diretto o indiretto della società sottoposta alla gestione dell’amministratore giudiziario.
Come dimostrerebbero in alcune occasioni le richieste di reintegro tra i lavoratori dipendenti di soggetti che detto amministratore giudiziario aveva estromesso perché gravati da misure cautelari, ritenuti espressione della compagine gestoria precedente, resasi autrice di reati. Per tale contributo causale fornito, i predetti dirigenti e dipendenti delle società appaltante nonché i dipendenti dell’impresa appaltatrice poi fallita sono indagati, in concorso con gli indagati principali, per le condotte distrattive e di riciclaggio poste in essere.