CATANIA – La Polizia di Stato – Squadra Mobile della Questura di Catania e Commissariato di P.S. Adrano (che hanno agito sotto il diretto coordinamento della Direzione Centrale Anticrimine della Polizia di Stato con l’invio di diversi equipaggi del Reparto Prevenzione Crimine a cui si sono aggiunte unità della locale Questura e delle sue articolazioni nonché di unità specializzate come Polizia Scientifica e il Reparto Mobile) dalle prime ore di oggi, su delega di questa Procura Distrettuale della Repubblica – Direzione Distrettuale Antimafia ha dato esecuzione all’ordinanza di applicazione di misura cautelare emessa dal Giudice per le indagini preliminari al Tribunale di Catania a carico dei seguenti 18 soggetti destinatari della custodia in carcere:

 

  1. BUA Antonio, inteso “asinello” (cl.1983);
  2. BULLA Antonino, inteso “u picciriddu” (cl.1983);
  3. BULLA Giuseppe, inteso “u biondo” (cl.1989);
  4. BULLA Vincenzo (cl.1994);
  5. CALVAGNO Cristian (cl.1988);
  6. COSTA Giuseppe David, inteso “pesciolino” (cl.1982);
  7. CRIMI Salvatore, inteso “Turi u cani” (cl.1986);
  8. FIORELLO Giuseppe (cl.1998);
  9. LANZA Alfio, inteso “Alfredo” (cl.1982);
  10. LAZZARO Pietro (cl.1977);
  11. LO CICERO Cristian (cl.1986);
  12. PALMIOTTI Daniel (cl.1985);
  13. PETRONIO Carmelo (cl.1973);
  14. QUACECI Alfio (cl.1994);
  15. ROSANO Nicolò, inteso “pipituni” (cl.1980);
  16. SANTANGELO Gianni, inteso “Giannetto” (cl.1983);
  17. SCARVAGLIERI Toni Ugo (cl.1973);
  18. VIAGGIO Giuseppe, inteso “u puffu” (cl.1983);

ritenuti gravemente indiziati, allo stato degli atti e in relazione alla fase processuale che non ha ancora consentito l’instaurazione del contraddittorio con l’intervento delle difese, dei delitti di omicidio, associazione di tipo mafioso (clan Santangelo di Adrano e clan Mazzei intesi “carcagnusi” di Catania) e porto e detenzione illecita di armi da sparo aggravata dalla finalità di agevolare l’associazione mafiosa di appartenenza.

Le indagini

Le indagini della Squadra Mobile e del Commissariato di P.S. Adrano, supportate da presidi tecnici (intercettazioni telefoniche, ambientali e telematiche, oltre a videoregistrazioni) hanno tratto origine dalle dichiarazioni rese nel dicembre 2019 dal collaboratore di giustizia LA ROSA Giovanni in ordine alla scomparsa (avvenuta ad Adrano il 16.6.2016) e successiva uccisione di CIADAMIDARO Nicola.

In sede di interrogatorio, il predetto collaboratore di giustizia riferiva che l’omicidio, tipico esempio di c.d. “lupara bianca”, era stato commesso, su ordine dei vertici del clan mafioso Santangelo, da SANTANGELO Gianni inteso “Giannetto”, ROSANO Nicolò inteso “pipituni”, BULLA Antonino inteso “u picciriddu” e CRIMI Salvatore inteso “Turi u cani” per vendicare il triplice omicidio di ROSANO Alfio (cl.1959), CRIMI Daniele (cl.1985) e FINOCCHIARO Alfio (cl.1965) avvenuto il 27.7.2006 in territorio di Bronte (CT).

Le attività investigative volte a riscontrare le dichiarazioni del collaboratore di giustizia, che venivano corroborate dalle dichiarazioni di ulteriori collaboratori di giustizia, consentivano di ritenere la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza nei confronti di SANTANGELO Gianni, ROSANO Nicolò, BULLA Antonino, BULLA Vincenzo e CRIMI Salvatore quali esecutori materiali  dell’omicidio di CIADAMIDARO Nicola, commesso come detto per vendicare il triplice omicidio del luglio 2006, i cui colpevoli, poi arrestati dalla Squadra Mobile e dal Commissariato di P.S. Adrano nell’ambito dell’operazione Meteorite dell’ottobre 2006, appartenevano al gruppo criminale adranita Liotta – Mazzone di cui avrebbe fatto parte anche la vittima CIADAMIDARO Nicola.

Da quanto ricostruito dalle indagini, la sera del 16.6.2016 CIADAMIDARO Nicola – che dopo la sua scarcerazione nell’ottobre 2014 si era allontanato per un periodo da Adrano per poi farvi ritorno – mentre si recava in palestra alla guida del suo scooter veniva fermato e sequestrato dagli uomini del clan Santangelo che lo caricavano a bordo di un furgone e lo portavano in una campagna isolata, dove, dopo averlo torturato, lo uccidevano decapitandolo. Durante le indagini è poi emerso come, nonostante numerose operazioni di Polizia abbiano inferto duri colpi al clan Santangelo, con l’arresto di decine di affiliati di rango apicale, la predetta organizzazione mafiosa mantenga inalterata la sua operatività nel territorio adranita.

In particolare, secondo l’impostazione accusatoria recepita dal Gip, dalle indagini emergeva ai vertici del clan Santangelo la figura di SCARVAGLIERI Toni Ugo, il quale, data la detenzione di tutti gli altri elementi di spicco del sodalizio, avrebbe assunto la guida della famiglia mafiosa, coordinando e organizzando sul territorio le attività illecite degli affiliati, i cui proventi confluivano nella “cassa comune” dell’organizzazione, altresì destinata al mantenimento degli affiliati detenuti e delle loro famiglie.

Sempre secondo l’impostazione accusatoria recepita dall’ordinanza custodiale, in seguito alla scarcerazione dei citati BULLA Antonino e CRIMI Salvatore, gli stessi, sebbene sottoposti alla detenzione domiciliare, avrebbero continuato ad avvalersi del ruolo di coordinamento di SCARVAGLIERI Toni Ugo e avrebbero ripreso il comando del clan Santangelo, impartendo ordini e direttive al resto degli affiliati e pianificando le strategie criminali dell’associazione mafiosa.

Il ruolo delle due compagini mafiose

Il prosieguo delle indagini riguardava, altresì, il gruppo criminale capeggiato da LO CICERO Cristian, referente del clan mafioso catanese Mazzei intesi “carcagnusi”, il quale, inseritosi nelle dinamiche criminali adranite, sarebbe entrato in attrito con le due storiche famiglie mafiose Santangelo e Scalisi. In tale contesto è stato possibile ritenere sussistenti i gravi indizi di colpevolezza anche in relazione al delitto di cui all’art. 416 bis c.p. con riguardo ad alcuni esponenti del citato clan capeggiato dal LO CICERO. Durante l’attività sono state sequestrate diverse armi in dotazione ai due sodalizi mafiosi, tra cui una mitraglietta vz.61 Skorpion calibro 7.65, una pistola semiautomatica Beretta 70 calibro 7.65 con matricola abrasa, un fucile automatico calibro 12 nonché caricatori e munizioni di svariato calibro.

Tali ipotesi accusatorie, allo stato avallate dal G.I.P., dovranno trovare conferma allorché verrà instaurato il contraddittorio tra le parti. Nel complesso – per l’operazione di Polizia Giudiziaria odierna, convenzionalmente denominata “Meteora” – sono stati impiegati oltre un centinaio di operatori della Polizia di Stato.

Durante la conferenza di oggi è stato sottolineato come il ruolo di Giovanni La Rosa sia stato davvero importante per avviare le indagini, dato anche il fatto che in seguito al decapitamento di Ciadamidaro, la sua testa e il suo busto non vennero ritrovati. Il nome Meteora prende il nome da quello di Meteorite, dato alla precedente operazione del 2006 in merito al precedente omicidio. Ciadamidaro inoltre era andato via per un po’ di tempo da Bronte salvo rientrarvi prima di essere ucciso. Il 4 agosto 2007 venne ucciso Nicolò Liotta mentre era in una sala da barba di Adrano, mentre il 18 gennaio del 2008 toccò a Francesco Rosano subire la stessa sorte con 13 colpi di arma da sparo ad Adrano. Nove dei soggetti sono stati catturati perché liberi, mentre per gli altri la misura è arrivata in carcere.

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