LETOJANNI. Sono bastati i tabulati telefonici e le prove scientifiche ottenute tramite una serrata indagine per condannare a 25 anni di reclusione (di cui 4 per calunnia) Feres Bayar, accusato dell’uccisione di Massimo Canfora, a Letojanni. E’ questa la condanna decisa dalla Corte d’Assise di Messina alla fine del processo per il giovane tunisino, accusato dell’omicidio volontario del netturbino trovato morto nella sua abitazione, nell’estate di due anni fa. L’Accusa, rappresentata dal pubblico ministero Giuseppe Adornato, aveva chiesto l’ergastolo per l’uomo, difeso dall’avvocato Giovambattista Freni. Ma la Corte ha escluso l’aggravante della crudeltà e condannato Bayar a 21 anni per l’omicidio e 4 anni per calunnia. Confermata comunque la responsabilità e la ricostruzione effettuata dagli investigatori già poco dopo il delitto: il netturbino è stato ucciso nella sua abitazione al culmine di una sorta di “festino” forse a base di droghe. Fatale gli è stata una pioggia di coltellate. Bayar era stato intercettato subito dopo la scoperta del cadavere perché era stato notato ad allontanarsi in fretta dall’appartamento. Interrogato a caldo dagli investigatori, ha cercato di sviare i sospetti su un amico presente la stessa notte, vicino di casa della vittima. Ma non è stato creduto: le testimonianze, gli esami scientifici sulle tracce ritrovate in casa, l’analisi dei tabulati telefonici sarebbero contro di lui. Da qui la condanna per calunnia. La famiglia di Massimo si è costituita parte civile al processo, assistita dall’avvocato Giacomo Rossini.
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