I giudici della Corte di Assise di Appello di Reggio Calabria hanno motivato il rigetto della richiesta dei legali di Antonio De Pace, l’infermiere condannato all’ergastolo per l’omicidio della fidanzata Lorena Quaranta. “Non esiste un solo elemento in grado di neutralizzare l’efferatezza del crimine commesso”. Sono queste le parole pronunciate in aula.
La sentenza, emessa lo scorso 28 novembre, conferma la massima pena già stabilita in primo grado. I giudici hanno inoltre sottolineato come sia stata data “troppa enfasi” allo stress da Covid come elemento a discolpa dell’imputato.
L’omicidio è avvenuto il 31 marzo 2020, in piena pandemia, nell’abitazione di Furci Siculo (Messina) dove la coppia conviveva. De Pace ha ucciso la fidanzata strangolandola e colpendola al volto con una lampada, al culmine di una lite improvvisa.
I legali di De Pace avevano a lungo insistito sulla condizione di forte stress dell’imputato a causa della pandemia. La Cassazione, pur confermando la colpevolezza, aveva disposto un nuovo processo in appello per valutare l’eventuale concessione di attenuanti generiche legate a questo elemento.
La Corte di Assise di Appello ha però rigettato questa tesi, sottolineando come De Pace avesse tenuto comportamenti che smentiscono un quadro di forte stress: l’incontro con un amico, l’abbraccio alla fidanzata al rientro a casa, la cena insieme e la visione di un film a letto.
“Troppo rilievo è stato dato a questo aspetto – scrivono i giudici nelle motivazioni – a fronte di elementi che depongono in senso contrario”. E ancora: “La situazione di stress che certamente stava vivendo De Pace non era di intensità tale da consentire la concessione delle circostanze attenuanti generiche, in presenza di numerosi e pregnanti elementi di segno negativo posti in essere successivamente al grave fatto omicidiario”.
Nel procedimento, erano presenti anche i familiari di Lorena Quaranta, rappresentati dagli avvocati Giuseppe Barba e Cettina La Torre, e le associazioni antiviolenza Cedav e “Una di Noi”, rappresentate rispettivamente dagli avvocati Maria Gianquinto e Cettina Miasi. I difensori dell’imputato erano invece gli avvocati Salvatore Staiano e Bruno Ganino.
La sentenza pone fine a una vicenda tragica che ha visto una giovane vita spezzata e sottolinea l’importanza di non sottovalutare la violenza di genere, anche in contesti di forte stress come quello pandemico.