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    Attualità

    Santa Teresa di Riva. “La scuola non si vende. La scuola non si arma”, ieri Assemblea pubblica al Palazzo della Cultura

    Enrico ScandurraDi Enrico ScandurraNovembre 5, 2025Nessun commento
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    SANTA TERESA DI RIVA. Nel pomeriggio del 4 novembre, presso il Palazzo della Cultura di Santa Teresa di Riva, si è svolta l’assemblea pubblica dal titolo “La scuola non si vende. La scuola non si arma”, promossa dal Comitato per il sostegno al popolo palestinese della Riviera jonica messinese. L’iniziativa si inserisce nel quadro della mobilitazione nazionale lanciata dall’Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università, che ha coinvolto 38 città italiane in contemporanea.

    L’assemblea ha visto una partecipazione attiva e trasversale di docenti, studenti, famiglie e cittadini, uniti dalla volontà di difendere la scuola pubblica come organo di democrazia e laboratorio di pace, contro ogni deriva bellicista e contro la crescente militarizzazione degli spazi educativi.

    Durante l’incontro, i partecipanti hanno elaborato una lettera aperta “LA SCUOLA NON SI VENDE, LA SCUOLA NON SI ARMA – Contro la militarizzazione della cultura, contro il riarmo e le politiche di guerra, per sostenere la Palestina e tutti i popoli oppressi nel mondo, costruiamo l’alternativa a partire dalla scuola” rivolta all’intera comunità educante che esprime una ferma opposizione alla trasformazione della scuola in strumento di consenso e militarizzazione. La lettera denuncia la deriva neoliberista che ha svuotato la scuola della sua funzione democratica, riducendola a un’istituzione valutativa e competitiva e critica la legge n. 27/2024 che promuove la celebrazione del 4 novembre come giornata di esaltazione delle forze armate, oscurando la memoria delle guerre e la cultura della pace. Denuncia, inoltre, la repressione da parte del Ministero dell’Istruzione del Merito nei confronti di iniziative pacifiste come il convegno “La scuola non si arruola” e segnala il rischio di una scuola occupata simbolicamente e fisicamente da forze armate e industrie belliche, in linea con progetti europei come ReArm Europe.

    La lettera richiama anche i drammi globali in corso, come il genocidio in Palestina e i conflitti in Sudan e Congo, sottolineando la responsabilità della scuola nel promuovere giustizia, pace e solidarietà.

    L’assemblea si è conclusa con un appello all’unità tra insegnanti, studenti, famiglie e movimenti per difendere la scuola come bene comune e presidio di umanità.

    Ecco la lettera:

    A tutte le comunità scolastiche
    Ai docenti e alle docenti
    Agli studenti e alle studentesse
    Alle famiglie
    Ai cittadini e alle cittadine

    In un tempo in cui la scuola pubblica viene progressivamente svuotata del suo significato sociale, ci sentiamo in dovere di alzare la voce. Lo facciamo con la consapevolezza che la scuola non è un semplice servizio, né un’azienda, né tantomeno un luogo neutro. È un organo di democrazia. E come tale, va difeso.
    La scuola italiana è stata tradita. Tradita da decenni di politiche neoliberiste che l’hanno trasformata in un’istituzione piegata alle logiche del mercato, dove il sapere è ridotto a merce, il docente a dipendente, lo studente a “capitale umano”. La scuola da primaria agenzia “formativa” si configura sempre più come “valutativa”: l’introduzione dell’INVALSI, il passaggio dalle “conoscenze” alle “competenze”, il clima competitivo, la cosiddetta “meritocrazia”, sono tutti fattori che hanno contribuito a mutare il senso della scuola e determinato quella trasformazione che ne ha capovolto il dettato costituzionale.
    Questa trasformazione non è neutra. È ideologica. È parte di un disegno di classe che mira a subordinare l’istruzione alle esigenze del profitto, svuotando la scuola della sua funzione emancipatrice e democratica.
    In Sicilia, la questione assume contorni ancora più urgenti. La nostra terra, segnata da precarietà, marginalizzazione e sottofinanziamento, ha bisogno di una scuola che sia strumento di giustizia sociale, non di esclusione. Ha bisogno di docenti liberi, di studenti consapevoli, di comunità educanti.
    Ma oggi, a questa deriva mercificatrice, si aggiunge un’altra minaccia: quella della militarizzazione. Con la legge n. 27 del 1° marzo 2024, la denominazione di festa del 4 novembre è stata modificata in Giornata dell’unità nazionale e delle forze armate, invitando le scuole a celebrare il sacrificio per la patria, con particolare riferimento alla Prima Guerra Mondiale che, come noto, fu preceduta da campagne coloniali dell’Italia monarchica e liberale nel tentativo di affermarsi tra le grandi potenze. La “Grande Guerra”, nel mito fondativo del fascismo, celebrata come quarta guerra d’indipendenza e come compimento del processo di unificazione nazionale. Sandro Pertini, da presidente della Repubblica, ne sfidò il mito e la definì nel 1983: «come guerra crudele, devastatrice, tragicamente impotente a risolvere i veri problemi dell’umanità».
    La legge n. 27 del 1° marzo 2024, invece, propone una narrazione che tace sulla violenza, marginalizza la cultura della pace, prepara le nuove generazioni a un mondo di conflitto e obbedienza.
    Celebrazioni come quella del 4 novembre, segnano un ulteriore avanzamento nel processo di legittimazione della guerra. In un contesto europeo e globale segnato da crescenti progetti di riarmo e da investimenti massicci nel settore della difesa e della sicurezza, queste iniziative rischiano di avere conseguenze dirette e gravi sul sistema del welfare, sull’istruzione pubblica, sulla sanità e sulle politiche sociali.
    Concordiamo con l’Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università, nel considerare il 4 novembre non una festa, ma una giornata di lutto per le molte giovani vite sacrificate in una guerra che fu una vera e propria carneficina.
    Denunciamo, inoltre, il grave atto del MIM- Ministero dell’Istruzione e del Merito che con un’azione fortemente repressiva ha revocato l’accreditamento del convegno “La scuola non si arruola”, organizzato da CESTES-PROTEO e dall’Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole, ritenendolo “non coerente con le finalità di formazione professionale del personale docente presentando contenuti e finalità estranei agli ambiti formativi riconducibili alle competenze professionali dei docenti”.
    Insomma, secondo il Ministero, tematiche quali la politica di pace per un mondo multipolare, il Rearm Europe e la militarizzazione della conoscenza, la decolonizzazione dello sguardo, la didattica della storia dei genocidi, la lotta per la demilitarizzazione del sapere, devono essere tenute fuori dal mondo scolastico. Di converso, la scuola deve tendere, attraverso l’occupazione fisica e simbolica degli spazi educativi da parte delle forze armate, delle forze dell’ordine e delle industrie belliche, a normalizzare la guerra, rendere accettabile lo spostamento di risorse dal welfare al warfare, e consolidare l’identità nazionale. Questa doppia strategia non è casuale. È il frutto di una precisa programmazione politica, sancita dal Programma di comunicazione del Ministero della Difesa e rafforzata dalle direttive europee come il progetto ReArm Europe, che tende al Riarmo Cognitivo come base essenziale per la creazione del consenso.
    La militarizzazione dell’istruzione non è solo una questione pedagogica: è una questione democratica, culturale, etica. È il sintomo di una società che ha smarrito il senso della sua umanità. E proprio per questo, oggi più che mai, è urgente resistere, denunciare, costruire alternative. Perché educare non significa addestrare. E formare non significa reclutare.
    In questo contesto, è impossibile non richiamare il dramma attuale del genocidio in Palestina, che rappresenta in modo tragico e lampante la deriva di un ordine mondiale fondato su logiche belliche e coloniali. E non possono sfuggire gli inquietanti scenari che si profilano in Sudan e Congo, che hanno, con tutta evidenza, la stessa matrice. Si tratta di una violenza su scala globale in corso, sotto gli occhi di tutti, che il mondo della scuola non può ignorare né tantomeno legittimare. Al contrario, deve opporsi con fermezza, promuovendo una cultura della pace, della giustizia e della solidarietà.
    Noi diciamo no. No alla retorica del sacrificio. No alla normalizzazione della guerra. No all’ingresso dell’ideologia militarista nelle aule scolastiche. La scuola deve essere spazio di pensiero critico, di solidarietà, di costruzione di alternative. Non campo di addestramento né fabbrica di consenso.
    Per questo, oggi più che mai, è necessario costruire alleanze forti tra insegnanti, studenti, famiglie e movimenti. È necessario riaffermare il valore dei saperi umanistici, dell’autonomia professionale, della cultura della pace.
    La scuola non si vende. La scuola non si arma. La scuola si difende.

    Con determinazione e speranza,

    Comitato per il sostegno al popolo palestinese della Riviera jonica messinese

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