CASALVECCHIO SICULO. “Dopo averlo presentato a Scifì in inverno era necessario questo passaggio qui a S. Pietro. Perché il romanzo tenta di raccontare in modo forse leggero, quasi fosse un film, la storia di queste pietre, oltre che di Scifì e dei vari luoghi del comprensorio”. Con queste parole, Filippo Brianni, presidente di Archeoclub Area Jonica, ha commentato la presentazione presso l’Abbazia dei SS. Pietro e Paolo d’Agrò del libro “Il monastero perduto”, VGS Libri Editore, che ha avuto luogo sabato sera. Una presentazione voluta dal Comune, che l’ha organizzata insieme alla Pro Poco e ad Archeoclub proprio nell’ambito delle manifestazioni tradizionali legate a San Pietro. “Un altro evento figlio della collaborazione con Archeoclub che stiamo portando avanti su più piani”, ha detto l’assessore al turismo, Laura De Clò. L’incontro è stato introdotto dalla lettura di Carmelo Cocuccio di un frammento di libro dove l’appena avvenuta costruzione dall’abbazia viene vista con gli occhi del suo abate Gerasimo, in pieno XII secolo. Poi Ketty Tamà, Franco Nicita e Ninuccia Foti hanno mostrato come il testo si sposti tra i luoghi del comprensorio e nel tempo, seguendo prima la diffidenza poi la curiosità di un giovane archeologo australiano, figlio di emigranti siciliani, che ricercando le origini di questo monastero trova anche le proprie e riesce a decodificare comportamenti dei “siciliani” che prima gli erano estranei. Sullo sfondo, proprio l’abbazia agrillina e le vicende legate alla sua nascita ed al sito di Scifì, all’epopea in epoca normanna ed al successivo decadimento. Ketty Tamà, vice presidente di Archeoclub e direttrice del Museo Immersivo di S. Pietro, definendo il libro “figlio di tanti solstizi e dell’esperienza in Archeoclub”, si è occupata prevalentemente della figura dell’abate Gerasimo, che chiese e ottenne nel 1116 da Ruggero II i fondi ed il sostegno per realizzare l’abbazia. Francesco Nicita ha invece sottolineato anche il ruolo storico di Casalvecchio, il “Vecchio Casale”, divenuto elemento ispiratore di una “Nuova Valle”, in cui l’Abbazia d’Agrò è lo snodo di tutta una serie di elementi e storie. Ninuccia Foti si è soffermata prevalentemente su alcuni aspetti del libro, dal suo registro ironico che a volte viene utilizzato anche “mascherare” e dare un nuovo angolo visuale e profili e vicende culturalmente rilevanti. Le letture di Carmelo Cocuccio hanno anche portato il dibattito sulle tematiche delle “migrazioni” in tutte le loro forme, e sull’impatto che il libro attribuisce alle dominazioni su caratteri e caratteristiche dei siciliani, dalle questioni di cuore e quelle di onore.
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